Nel suo magistrale L’Arte della Memoria, Einaudi 1972, una studiosa inglese, Frances Amelia Yates, si sofferma brevemente sull’opportunità di dedicare un libro allo studio della tecnica adoperata da Dante per fissare il suo lavoro nella memoria del lettore:
Che l’Inferno di Dante possa essere considerato alla stregua di un sistema mnemonico per fissare il ricordo dell’Inferno e delle sue pene con impressionanti immagini distribuite su una serie ordinata di luoghi, potrà produrre una certa impressione e per parte mia mi limiterò a questa indicazione. Sarebbe necessario un intero libro per elaborare le implicazioni di un simile approccio al poema dantesco (che nessun italiano ha avuto il coraggio di scrivere, ndr). Se pensiamo al poema come basato su ordini di luoghi distribuiti in Inferno, Purgatorio e Paradiso, e come ad un cospicuo ordine di luoghi, in cui i gironi del’Inferno sono le sfere del Cielo alla rovescia, esso comincia ad apparirci come una summa di similitudini ed esempi, disposti in ordine e distribuiti su uno sfondo universale. E se ci si rende conto che la prudenza, sotto molte e diverse immagini è un tema simbolico dominante nel poema, le tre cantiche potranno essere viste come memoria, che ricorda i vizi e le loro punizioni nell’Inferno, intelligentia, l’uso del presente per far penitenza e acquistare virtù, e providentia, il guardare innanzi, verso il Paradiso. Secondo questa interpretazione i principî della memoria artificiale, quali erano intesi nel Medioevo, dovevano stimolare l’intensa visualizzazione di molte similitudini, nello sforzo teso a fissare nella memoria lo schema della salvazione e la complessa trama delle virtù e dei vizi con i loro premi e le loro pene: obiettivo di un uomo ‘prudente’ che usa la memoria come una parte di prudenza. La Divina Commedia diventerebbe così l’esempio supremo della conversione di una summa astratta in una summa di simboli ed esempi, dove la memoria è la facoltà che opera questa conversione, fomando un ponte fra l’astrazione e l’immagine. Ma entrerebbe in gioco anche l’altra motivazione per l’uso di simboli corporei, fornita da Tommaso nella Summa (oltre al loro uso nella memoria): e precisamente la considerazione che le sacre scritture usano metafore poetiche e parlano di cose spirituali sotto sembianza di cose corporee. (p.88)
Questa arte interiore, che incoraggiava l’uso dell’immaginazione sino a farne un dovere, deve essere stata sicuramente un fattore di primo piano nell’evocazione delle immagini. E’ possibile che la memoria possa valere come spiegazione dell’amore medievale per il grottesco, lo strano? Sono forse, le strane figure da “vedere” sulle pagine di manoscritti e in ogni forma di arte medievale, non tanto la rivelazione di una psicologia torturata, quanto prova del fatto che il Medioevo, quando doveva ricordare, ricorreva alle regole classiche per la formazione di immagini “memorabili”? E la proliferazione di un nuovo mondo di immagini nei secoli XIII e XIV, è in relazione con il rinnovato vigore con cui gli scolastici accentuano l’importanza della memoria? (…) è fondamentale sottolineare che l’arte della memoria emerse dal Medioevo. Le sue radici più profonde erano in un passato venerando. Da queste profonde e misteriose origini essa fluì nei secoli successivi, portando la sua impronta di religioso fervore stranamente mescolato con i particolari mnemotecnici, che ad essa vennero sovrapposti nel Medioevo. (p. 96)
Frances Amelia Yates, di Giuliana Giulietti.
Dante o della memoria appassionata, trascrizione di una conferenza della prof. Lina Bolzoni